Per non dimenticare che si tratta di ‪#‎satiratrepuntozero

Il mondo digitale e le sue stranezze, a volte basterebbe solo soffermarsi qualche attimo per capire quanto siamo “abituati” a non vedere, non sentire, non leggere, non capire. Figuriamoci se si parla di #satira !!

La #‎satiratrepuntozero ovvero: riconoscere parassiti ed haters

be-wezard #satiratrepuntozero

be-wezard

La comunicazione digitale ha davvero sorpassato anche l’immaginario che si prospettava anni fa, lo dico io che non sono un nativo digitale e che ai primi anni 90, quando sentivo parlare di rete e ho cominciato con i militari a studiare questo mondo affascinante, davvero l’infinito ci sembrava essere stato descritto.

Poi le gabbie sono diventate sempre più strette, la casa è diventato il primo recinto, poi i PC hanno sostituito le persone, poi sono arrivati i social e gli smartphone e per ironia della tecnologia, anche se in compagnia, fuori a cena tra amici, ci sono quei momenti dove “tutti” hanno il viso dello stesso colore; un blu display smartphone.

I social network hanno cambiato tutto, la comunicazione è diventata più veloce, anche il racconto di un evento tragico corre nell’etere più veloce di una editoria stampata di news che sono già vecchie quando le leggiamo. Ma se tutto questo poteva essere una occasione di condivisione, lo sfruttamento di tecnologie anche in ambito professionale, si è rivelato una trappola quasi antropologica ed antitetica dell’intero sistema.

editoria-digitale

Come nascono i casi studio per un libro di esperti del web… #satiratrepuntozero

Per essere definibile come “esperto” del settore, devi scrivere un “libro”, un e-book, vale quasi come dire che per vincere una gara di F1 ti basta un calesse trainato da un ciuchino! Nel web questo è possibile anche grazie all’apporto fantomatico e non reale di una popolarità indotta; è anche vero che immaginare di fare “marketing” in un contesto di un network di persone ritenute “amici” e quindi (ipoteticamente anche reali), è davvero molto improbabile; ma esiste il “personal branding” e allora la fantasia anche di ipotetici influencers è quanto mai una “evoluzione” dell’essere egocentrici e darsi dei titoli e continuare ad alimentare il proprio network su quello che non si è; sarà il tuo network a riconoscerti come “esperto”.

Tutti gridano agli haters, ne ho anche parlato in un recente articolo, ma in linea di massima potremo definire meglio la subdola categoria:

  1. Haters veri
  2. Haters opportunisti
  3. Haters parassiti

I gradi dell’essere subdolo; professionista come scudo, hater per essere visibile

  1. Gli haters veri. Sono delle colonne portanti del mondo digitale, delle vere e proprie macchine da guerra con l’obbiettivo di dare fastidio; ma non è sempre detto che lo facciano per sport, divertimento o anche solo per carattere; ne conosco alcuni chiamati proprio per agire in network definiti, per “cancellare” situazioni imbarazzanti, distogliere l’attenzione da discorsi scomodi, eliminare elementi del network che danno fastidio, distruggere o delegittimare operati di moderatori o di tematiche fastidiose.
  2. Gli haters opportunisti. Sono quegli utenti sociali che si schierano sempre dietro un leader, solitamente il più visibile, il mantello dello sfigato di turno alla ricerca spasmodica di raccogliere consensi lasciati dall’elemento “alfa” di un gruppo che, meglio essere clementi, ha ragione di esistere solo perché “futile” e questo perché, se mai si arriva a far alzare il livello di ragionamenti, i parassiti opportunisti, solitamente non commentano, ma diventano dei “cliccatori” di default solo dei commenti/utenti che ricevono “più attenzione”.
  3. Gli haters parassiti. Sono quelli che più mi piacciono. Solitamente sono ammalianti, provano a farti sentire sempre in difetto, ridondanti nella comunicazione, metodici anche nell’uso degli hashtag o delle immagini che descrivono frasi fatte e di facile condivisione, sono loro il “parassita digitale” che il più delle volte salta da un argomento ad un’altro cercando sempre di porsi al centro dell’attenzione, al disopra di qualsiasi sospetto. Sono i giullari di una corte ristretta come un social network o network personale, quello di un utente sul quale questo hater parassita opera.

webinculoA differenza dei primi due, gli haters parassiti sono infestanti. Sono quelli che pubblicano decine di aggiornamenti al giorno, commentano tutto quello che succede: sembra quasi che non ci sia altro che il social network nella propria vita; ma poi usano hashtag per farsi identificare ponendosi sempre come “giudice” super partes. Ma attenzione… Spesso sono degli incompetenti prezzolati con un passato diverso dal digitale che hanno bisogno di sfidare per intimorire l’interlocutore, di non schierarsi per avere sempre la via di fuga, restare fermo come fa il “parassita” per non essere debellato.

Obbiettivo finale è quello di affermarsi sempre di più in un settore dove non si ha competenza, ma si “demanda” a professionisti seri e “pertinenti” consigli gratuiti nel nome dell’amicizia; ma quale? Quella digitale? Ma chi ti conosce?! Ma chi ti credi di essere!!?

Poi si passa a vere e proprie tipologie di “frustrato digitale“, solitamente definibile come persona che scambia la satira per infamia, che non ne intende la differenza, quella persona che si eleva a ruoli d’importanza, spara titoli a tutto spiano, parla in palcoscenici per buffoni di settore e cerca di farsi definire come un avanguardista della comunicazione digitale. In altre parole, si tratta della somma degli haters per eccellenza, il parassita di sistema e la bandiera della corrente moderata del “non prendo posizione” perché mi conviene restare “ambiguo”. Un fondatore del nulla e assenteista, un esperto “pre-supposto” e sottospecie di invertebrato con la mania della sfida per incapacità di risoluzione che di successo.

Un perdente è un perdente, non c’entra nulla la satira; se non sanno e non hanno esperienza, non è colpa dei social, ma forse le responsabilità vanno ricercate nelle delusioni che si costruiscono sulla presunzione di titoli universitari, master ed eventi fuffologici di varia natura.

Il logotipo e l’azione di spam in bacheche Facebook e hashtag in stile Twitter

Siccome l’editoria tradizionale non fa altro che sfornare esperti digitali, questo solo perché pubblicano libri che solitamente vengono distribuiti in sagre di settore, lo scrittore o sedicente tale, diventa il buffone da palcoscenico del momento e per ringraziare/promuovere il suo libro, lo regala ai convenuti come fosse un premio della più alta storia del giornalismo…

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Tuttavia, la vera guerra nasce dai social ed è voluta dagli utenti che spesso divertono con disparati hashtag; anche la politica non si è mantenuta fuori dai social networks, quale migliore occasione per proporre modelli di “dialogo” tra la base elettorale e il proprio candidato? Corretto, ma quando alcuni hashtag sono il riconoscimento digitale di un Partito, una determinata campagna, allora non si tratta più di una parola chiave di ricerca, ma diventa strumentale come il logotipo di un brand.

Ma i nostri piccoli operatori, gli haters, quei parassiti digitali che vivono nei nostri network, sono l’esempio lampante proprio di questo uso preciso con finalità o di riconoscimento/distintivo o psicologico indotto; veri e propri comunicatori seriali che trovate in gruppi di settore, come blogger in più realtà ed argomenti, ma con un seguito dubbio e finalizzato solo ed esclusivamente a cercare di incrementare la propria visibilità in funzione di un settore, tra esperti o presunti tali in ambito digitale o del web marketing più esteso.

Le interazioni, i commenti ai temi, la risposta in visibilità da azioni di networking offline, che determinano il livello di popolarità effettiva, se ci fate caso, sono quasi sempre prossimi allo zero relativo dove il metro di misura è solitamente uguale al valore dei loro contenuti, definire lo zero assoluto non è affatto difficile: loro!

 

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